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Curatela fallimentare e obblighi di smaltimento

Con l’ordinanza del 15 settembre 2020 n. 5454, la Quarta Sezione del Consiglio di Stato aveva richiesto all’Adunanza Plenaria di chiarire se “a seguito della dichiarazione di fallimento, perdano giuridica rilevanza gli obblighi cui era tenuta la società fallita, ai sensi dell’art. 192 del d.lgs. n. 152/2006, pur se il curatore fallimentare – in un’ottica di continuità – “gestisce” proprio il patrimonio del bene della società fallita e ne ha la disponibilità materiale”.
In riferimento a tale questione erano emersi, in giurisprudenza, due orientamenti principali.

Primo orientamento
Una prima interpretazione sosteneva che il curatore fallimentare non potesse essere considerato soggetto responsabile della rimozione dei rifiuti, ai sensi dell’art. 192, comma 3, d.lgs. n. 152/2006, rispetto ai beni del soggetto fallito, non subentrando nei diritti della società fallita.

Secondo orientamento
Un secondo orientamento, invece, condiviso dalla Quarta Sezione, riteneva che gli obblighi di rimozione dei rifiuti, previsti dalla citata disposizione normativa, ricadrebbero sul curatore fallimentare in quanto esso, a seguito della dichiarazione di fallimento, acquista la qualifica di detentore dei siti nei quali è avvenuto l’abbandono o il deposito incontrollato.
Quest’ultimo orientamento risulterebbe conforme alle disposizioni comunitarie che individuano quali soggetti obbligati alla rimozione dei rifiuti i detentori ed i gestori, comunque denominati, e, in applicazione del principio “chi inquina paga”, stabiliscono che i costi della gestione dei rifiuti vadano attribuiti al produttore iniziale, ai detentori precedenti dei rifiuti oppure “ai detentori del momento”.
Secondo l’opinione della Quarta Sezione, “la detenzione dei rifiuti fa sorgere automaticamente un’obbligazione avente un duplice contenuto: il divieto di abbandonare i rifiuti e l’obbligo di smaltire gli stessi”. Pertanto, la curatela fallimentare, anche nel caso in cui non proseguisse l’attività dell’impresa, proprio poiché assume la qualità di detentore dei rifiuti, non potrebbe consentire la permanenza di rifiuti in stato di abbandono, derivanti dall’attività precedentemente svolta.
Sulla base dell’emersione di tale contrasto giurisprudenziale, la Quarta Sezione, rimettendo la risoluzione della questione all’Adunanza Plenaria, ha individuato il punto nevralgico della problematica proprio nella corretta qualificazione da attribuire al concetto di “detentore dell’area su cui sono situati i rifiuti”, poiché, in forza del principio di precauzione, sarebbe possibile riconoscerlo quale soggetto onerato della rimozione degli stessi, ai sensi dell’art. 192, comma 3, d.lgs. n. 152/2006. Sia il principio di prevenzione sia il principio “chi inquina paga” non richiederebbero la prova dell’elemento soggettivo rispetto al soggetto detentore né la sua successione al soggetto responsabile dell’inquinamento originario.

La sentenza n. 3 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato
Con la sentenza n. 3 del 26 gennaio 2021, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha accolto la tesi sostenuta dalla Quarta Sezione, ed affermato il seguente principio di diritto: “ricade sulla curatela fallimentare l’onere di ripristino e di smaltimento dei rifiuti di cui all’art. 192 d. lgs. n. 152/2006 e i relativi costi gravano sulla massa fallimentare”.
La pronuncia ha chiarito come nel caso in esame non si verifichi un fenomeno successorio fra i soggetti, pertanto il curatore non andrà considerato quale “avente causa del fallito nel trattamento dei rifiuti”.
Tuttavia, l’obbligo di rimozione dei rifiuti, ai sensi dell’art. 192, comma 3, d.lgs. n. 152/2006, sussiste nei confronti del curatore fallimentare in quanto esso diviene detentore dei beni oggetto del fallimento, in conseguenza della dichiarazione, a seguito dell’inventario degli stessi ex artt. 87 e ss. della Legge Fallimentare.
Nello specifico, l’Adunanza Plenaria ha precisato che “la responsabilità alla rimozione è connessa alla qualifica di detentore acquisita dal curatore fallimentare non in riferimento ai rifiuti (che sotto il profilo economico a seconda dei casi talvolta si possono considerare “beni negativi”), ma in virtù della detenzione del bene immobile inquinato (normalmente un fondo già di proprietà dell’imprenditore) su cui i rifiuti insistono e che, per esigenze di tutela ambientale e di rispetto della normativa nazionale e comunitaria, devono essere smaltiti”.
Proprio in considerazione dei principi di prevenzione e di responsabilità, affermati dalla normativa europea nonché dall’art. 178 del Codice dell’Ambiente, la disposizione codicistica deve essere interpretata nel senso di attribuire all’Amministrazione la facoltà di poter adottare provvedimenti affinché i curatori fallimentari adottino adeguate misure per la rimozione dei rifiuti.
Infatti, secondo la normativa comunitaria, i rifiuti devono essere in ogni caso rimossi, anche qualora l’attività dell’impresa cessi: il soggetto responsabile potrà essere individuato nello stesso imprenditore non fallito, oppure in colui che amministra il patrimonio fallimentare. In quest’ultima ipotesi non viene richiesta un’analisi del titolo sottostante al soggetto responsabile degli obblighi di rimozione, in quanto i costi della gestione dei rifiuti vanno imputati sia al loro produttore iniziale, che ai detentori del momento ed ai detentori precedenti.
L’esimente prevista all’art. 192, comma 3, d.lgs. n. 152/2006 può essere riconosciuta unicamente a favore di chi non sia detentore dei rifiuti (come, ad esempio, nei confronti del proprietario incolpevole del terreno).
Pertanto, il costo della rimozione potrà ricadere sull’attivo fallimentare, quale conseguenza della funzione di garanzia che assume il detentore dei siti in cui sono abbandonati i rifiuti, in conformità del principio di “chi inquina paga”. Di conseguenza, devono essere imputati al fallimento gli obblighi “di porre in essere le attività strumentali alla bonifica”, e la Pubblica Amministrazione potrà rivalersi sull’attivo fallimentare delle spese eventualmente sostenute, nel caso in cui sia intervenuta direttamente per eliminare il pericolo ambientale.

avv. Luca Russo

Sede Roma

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Dott.ssa Monica Andreea Petrea

Sede Trento

monica.petrea@safegreen.it