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Sottoprodotti: quali novità dopo la Dir. (UE) 2018/851?

La recente Direttiva 2018/851/UE (in G.U. 14.6.2018, L. 150/109), oltre ad aver “ritoccato” talune definizioni rilevanti in tema di rifiuti (nell’ambito del più ampio “pacchetto” sulla “economia circolare”), è intervenuta anche sull’art. 5 della Direttiva 2008/98/CE, recante la definizione giuridica dei sottoprodotti.
In particolare – pur lasciando invariate le condizioni di origine, composizione, trattamento e destinazione dei sottoprodotti[1] – ha riscritto la parte introduttiva del par. 1 (del’art. 5 cit), imponendo agli Stati membri  di adottare “misure appropriate per garantire che una sostanza o un oggetto derivante da un processo di produzione il cui scopo primario non e` la produzione di tale sostanza od oggetto non sia considerato rifiuto, bensì sottoprodotto”.
E queste misure potranno essere adottate su scala nazionale con l’adozione di “criteri dettagliati sull’applicazione delle condizioni” per la ricorrenza dei sottoprodotti “a sostanze o oggetti specifici” (si veda il par. 3, introdotto ex novo nell’art. 5).
I criteri fissati ad hoc dagli Stati membri per singole tipologie/categorie di residui produttivi, assumeranno poi particolare rilevanza qualora assicurino il rigoroso rispetto dell’ambiente e delle condizioni comunitarie per i sottoprodotti, poichè, nella nuova impostazione delineata dalla dir. 2018/851/UE,  rappresenteranno la base (normativa) per gli eventuali “atti di esecuzione” adottati dalla Commissione Europea “per stabilire i criteri dettagliati sull’applicazione uniforme delle condizioni di cui al paragrafo 1 a sostanze o oggetti specifici”.
Nel par. 2 dell’art. 5, riformulato dall’ultima direttiva, viene infatti previsto che “la Commissione può adottare atti di esecuzione per stabilire i criteri dettagliati sull’applicazione uniforme delle condizioni di cui al paragrafo 1 a sostanze o oggetti specifici”. Ma “in sede di adozione di tali atti” dovrà prendere “come punto di partenza i più rigorosi criteri di protezione ambientale adottati dagli Stati membri a norma del paragrafo 3 del presente articolo” e dare priorità “alle pratiche replicabili di simbiosi industriale nello sviluppo dei criteri dettagliati”.
Seppur nulla è stato innovato rispetto alle condizioni normative per la ricorrenza dei sottoprodotti (e, invero, giuristi e operatori sarebbero stati ben contenti di leggere nella direttiva anche un intervento chiarificatore sul concetto di normale pratica industriale quale parametro limitativo dei trattamenti ammessi sui sottoprodotti) è evidente che è stato comunque dato dall’Unione Europea nuovo impulso alla diffusione di sottoprodotti.
Rinviando ad una prossima pubblicazione un più meditato approfondimento sulla portata delle modifiche introdotte, da un primo esame della nuova versione dell’art. 5 cit. emerge che a differenza del passato, dove la qualifica come sottoprodotto di un dato residuo (articolo) veniva considerata solo come una possibilità[2], oggi gli Stati membri sono invitati ad incrementare (al pari dell’EoW) i sottoprodotti affinché diventino una realtà e non solo una evenienza (residuale), rimessa principalmente a scelte strategiche aziendali o di determinati comparti.
In quest’ottica è auspicabile che l’attenzione del Ministero dell’Ambiente – in ragione delle sue competenze istituzionali e di quanto previsto dall’art. 184-bis, comma 2 del TUA[3] – nel prossimo futuro si soffermi sull’individuazione di altre categorie di sottoprodotti (oltre a quelle ad oggi già disciplinate con appositi D.M., come quelli in tema di terre e rocce da scavo o di biomasse per la produzione energetica) per le quali fissare criteri e modalità di gestione e impiego in grado di coinvolgere realmente industrie tradizionalmente separate, con un approccio integrato finalizzato a promuovere vantaggi competitivi (in termini di sviluppo economico  sostenibile per l’ambiente) anche attraverso l’efficiente scambio di sottoprodotti.

 

Avv. Alfredo Scialò
www.safegreen.it

[1] Ieri come oggi per la ricorrenza del sottoprodotto rilevano sempre le stesse condizioni dettate dall’art. 5:
“a) è certo che la sostanza o l’oggetto sarà ulteriormente utilizzata/ o;
b) la sostanza o l’oggetto può essere utilizzata/o direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale;
c) la sostanza o l’oggetto è prodotta/o come parte integrante di un processo di produzione e
d) l’ulteriore utilizzo è legale, ossia la sostanza o l’oggetto soddisfa, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o la salute umana”.
[2] Il testo del pre-vigente par. 1 dell’art. 5 cit., così recitava: una sostanza od oggetto derivante da un processo di produzione il cui scopo primario non e` la produzione di tale articolo puo` non essere considerato rifiuto ai sensi dell’articolo 3, punto 1, bensi` sottoprodotto
[3] L’art. 184-bis del TUA in vigore già dal 2008 prevede infatti che: “…possono essere adottate misure per stabilire criteri qualitativi o quantitativi da soddisfare affinché specifiche tipologie di sostanze o oggetti siano considerati sottoprodotti e non rifiuti. All’adozione di tali criteri si provvede con uno o più decreti del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare…”.