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Corte di Cassazione: le liti climatiche sono (anche) di competenza del giudice ordinario italiano

La Corte di Cassazione in sede di regolamento preventivo di giurisdizione con l’ ordinanza n. 20381 delle Sezioni Unite Civili del 21 luglio 2025 ((Regolamento di giurisdizione nel giudizio pendente dinanzi al TRIBUNALE DI ROMA, n. 26468/2023) Pres. CIRILLO, Rel. MERCOLINO, Ric. GREENPEACE O.N.L.U.S. ed altri c. ENI spa ed altri) ha affermato la giurisdizione del giudice ordinario italiano quanto alle cd. Climate Change Litigations, liti climatiche, quantomeno ove siano azionati diritti soggettivi per azioni tipiche della tutela civilistica.

Novità e rilevanza giurisprudenziale della pronuncia sulle liti climatiche

È un precedente importantissimo sul filone della richiesta di giustiziabilità degli interessi e dei diritti in materia di lotta ai cambiamenti climatici e difesa dagli effetti negativi e danni ai singoli, alle popolazioni e all’ambiente, che essi possono o stanno già cagionando.

Il tema delle liti climatiche riveste rilevanza non solo a livello italiano ed europeo, bensì mondiale; basti vedere l’apposita voce su Wikipedia o ancor meglio consultare il Global Climate Change Litigation Database della Columbia Law School che registra tutte le azioni avviate nel mondo con ampie informazioni.

In Italia questo è solo il secondo pronunciamento dei giudici sul tema, dopo un primo precedente negativo basato appunto sull’assenza di giurisdizione affermata in sede di merito dal Tribunale ordinario di Roma, Sez. 2^ civile – 26 febbraio 2024, con sentenza n.3552, ampiamente richiamata e citata nell’ordinanza della Cassazione di cui ci occupiamo.

Clicca qui per consultare il provvedimento del Tribunale di Roma: https://www.ambientediritto.it/giurisprudenza/tribunale-di-roma-sez-2-civile-26-febbraio-2024/

Il processo

Tutto nasce dall’azione intentata da Greenpeace e altri anche semplici cittadini italiani “che hanno convenuto dinanzi al Tribunale di Roma l’ENI S.p.a., il Ministero dell’Economia e delle Finanze e la Cassa Depositi e Prestiti S.p.a., per sentirne accertare l’inottemperanza agli obblighi inerenti al raggiungimento degli obiettivi climatici internazionalmente riconosciuti e la responsabilità per i danni patrimoniali e non patrimoniali cagionati dal cambiamento climatico, con la conseguente condanna dell’ENI alla limitazione del volume annuo aggregato delle emissioni di CO2 in atmosfera derivante dalle attività industriali e commerciali e dai prodotti per il trasporto dell’energia da essa venduti, e del Ministero e della Cassa DDPP all’adozione di una policy operativa che definisca e monitori gli obiettivi climatici di cui l’ENI dovrebbe dotarsi, nonché, in subordine, con la condanna dei convenuti all’adozione delle iniziative necessarie a garantire il rispetto degli scenari elaborati dalla comunità scientifica internazionale per mantenere l’aumento della temperatura entro 1,5 gradi.”

Gli attori hanno dedotto che il cambiamento climatico antropogenico incide negativamente sui diritti umani individuali e collettivi, provocando conseguenze che vanno da un peggioramento della qualità della vita fino all’impossibilità di vivere nei rispettivi luoghi di residenza, richiamando numerose fonti normative pattizie internazionali.
Secondo gli attori, il riscaldamento globale, derivante dall’incremento della concentrazione di CO2 nell’atmosfera, produce gravi conseguenze sugli ecosistemi e sulle comunità umane dell’intero pianeta, determinando l’interruzione della produzione alimentare e dell’approvvigionamento idrico, danni alle infrastrutture ed agli insediamenti e il deterioramento della vita, della salute e del benessere degli esseri viventi.

I promotori della causa hanno agito ai sensi degli artt. 2043, 2050 e 2051 cod. civ. e degli artt. 300 e 313, comma settimo, del D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, nei confronti dell’ENI, in qualità di responsabile delle emissioni, per il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali, diversi da quello ambientale, cagionati dalla lesione dei diritti umani tutelati dagli artt. 2, 9, 32 e 41 Cost., dagli artt. 2 e 8 della CEDU e dagli artt. 2 e 7 della CDFUE. Hanno sostenuto inoltre la responsabilità solidale del Ministero dell’economia e finanze e della Cassa DDPP, in qualità di azionisti di controllo dell’ENI che hanno tollerato tali atteggiamenti illeciti nonostante il controllo che poteva essere esercitato quindi la condanna del Ministero e della Cassa DDPP, ai sensi dell’art. 2058 cod. civ. e dell’art. 614-bis cod. proc. civ., ad adottare una policy operativa che definisca e monitori gli obiettivi climatici di cui l’ENI dovrebbe dotarsi, con la fissazione di una somma di denaro da pagarsi in caso d’inottemperanza o ritardo nell’esecuzione del provvedimento, infine in subordine, la condanna dei convenuti alla adozione di ogni iniziativa necessaria a garantire il rispetto degli scenari elaborati dalla comunità scientifica internazionale per contenere l’aumento della temperatura entro 1,5° C.

I principi affermati in materia di liti climatiche

Nel respingere le eccezioni delle parti convenute – tra le più rilevanti non giustificabilità della pretesa azionata, in quanto incompatibile con il proprio diritto di determinare liberamente la propria politica aziendale, il difetto assoluto di giurisdizione avendo la domanda ad oggetto l’adozione di misure che presuppongono valutazioni di natura politico legislativa, spettanti al Parlamento ed al Governo, il difetto di giurisdizione dell’Autorità giudiziaria italiana operando ENI all’estero, nonché il difetto di giurisdizione del Giudice ordinario, la carenza di legittimazione ed interesse degli attori, in quanto non portatori di un interesse concreto, diretto e specifico, ma di un generico interesse alla tutela dell’ambiente, del clima e delle risorse naturali, l’insussistenza di una condotta illecita, svolgendo essa convenuta una legittima attività d’impresa, avente rilevanza strategica nel settore energetico, e non essendo configurabile una violazione né degli artt. 9 e 41 Cost., non suscettibili di applicazione diretta nei suoi confronti, né degli artt. 2 e 8 della CEDU, applicabili agli Stati aderenti alla Convenzione, né delle regole di soft law, aventi carattere meramente programmatico, l’impossibilità giuridica della tutela richiesta, inidonea a garantire il contenimento dell’aumento della temperatura entro il limite di 1,5° C, e comunque implicante una penetrante ingerenza nell’attività d’impresa dell’ENI, in assenza di qualsiasi fondamento normativo –  la Suprema Corte ha statuito in particolare come:

  • l’utilizzazione del Regolamento di giurisdizione debba ritenersi giustificata nel caso di specie, in considerazione della novità delle questioni (inerenti non solo alla giurisdizione, ma anche al merito) suscitate dalla domanda proposta dagli attori, relativamente alle quali non si riscontrano precedenti nella giurisprudenza di legittimità, ove  l’unica pronuncia in qualche modo pertinente è costituita appunto dalla citata sentenza del medesimo Tribunale adito dagli attori che, in riferimento ad una controversia analoga (ma non identica), ha dichiarato il difetto assoluto di giurisdizione, escludendo che la domanda fosse conoscibile da alcun giudice ordinario o speciale, in ragione della mancanza dell’ordinamento di una norma di diritto astrattamente idonea a tutelare l’interesse dedotto in giudizio;
  • lo specifico riferimento agli artt. 2043, 2050, 2051 e 2058 cod. civ. renda evidente che attraverso la domanda in esame gli attori hanno inteso far valere una responsabilità extracontrattuale dei convenuti per i danni cagionati dall’inottemperanza dell’ENI al dovere di adottare, nell’esercizio dell’attività industriale e commerciale, le misure necessarie per ridurre il volume di emissioni di CO2 in atmosfera. Il fondamento di tale responsabilità viene individuato nella violazione degli obblighi derivanti dai predetti accordi, e segnatamente dall’Accordo di Parigi del 12 dicembre 2015, ritenuto vincolante anche nei confronti dei privati, per effetto dell’ordine di esecuzione impartito con legge n. 104 del 2016, e nella conseguente lesione del diritto alla vita ed al rispetto della vita privata e familiare, previsto dagli artt. 2 e 8 della CEDU, ritenuti a loro volta produttivi di obblighi positivi e negativi a carico non solo degli Stati aderenti alla Convenzione, ma anche dei privati, nonché nella violazione degli art. 9, terzo comma, e 41, secondo e terzo comma, Cost., come modificati dalla legge costituzionale 11 febbraio 2022, n. 1, che, nel sancire il principio della tutela dell’ambiente, precisano che l’iniziativa economica privata non può svolgersi in modo da recare danno allo stesso o alla salute, prevedendo inoltre che la stessa debba essere indirizzata e coordinata a fini ambientali;
  • la differenza esiziale del giudizio in oggetto con l’altro introdotto dinanzi al Tribunale di Roma, e conclusosi con la dichiarazione del difetto assoluto di giurisdizione, si riscontra nel fatto che la domanda era stata invece proposta nei confronti della Presidenza del Consiglio dei ministri, ed aveva ad oggetto l’accertamento della responsabilità extracontrattuale o da contatto sociale qualificato dello Stato per inadempimento dei doveri d’intervento e di protezione contro gli effetti degenerativi dell’emergenza climatica, a tutela dei diritti fondamentali della persona, con richiesta al giudice degli opportuni ordini al Governo affinché non rimanesse inerte;
  • debba escludersi che il sindacato sollecitato al Giudice di merito comporti un’invasione della sfera riservata al potere legislativo, configurabile peraltro, come ripetutamente affermato da queste Sezioni Unite, soltanto quando il giudice ordinario o speciale non abbia applicato una norma esistente, ma una norma da lui stesso creata, in tal modo esercitando un’attività di produzione normativa che non gli compete (cfr. Cass., Sez. Un., 26/12/2024, n. 34499; 9/07/2024, n. 18722; 26/11/2021, n. 36899), e non anche quando sia stato chiamato a pronunciarsi su una comune azione risarcitoria, (cfr. Cass., Sez. Un., 24/11/2021, n. 36373).

Per quanto riguarda infine il difetto di giurisdizione del Giudice italiano, eccepito dai convenuti in riferimento alla domanda di risarcimento dei danni cagionati all’estero, viene  affermato che a sostegno di tale pretesa gli attori non hanno inteso far valere la responsabilità delle società controllate dall’ENI aventi la loro sede in altri Paesi ed operanti al di fuori del territorio italiano, ma una responsabilità della società controllante per l’attività svolta dall’intero gruppo ad essa facente capo; quindi trattandosi di un fatto dannoso verificatosi, almeno in parte, al di fuori del territorio nazionale, ma imputato ad un soggetto avente la propria sede nel nostro Paese, trova applicazione la disciplina dettata dagli artt. 4, par. 1, e 7 n. 2 del Regolamento UE n. 1215/2012, i quali prevedono una competenza speciale ed esclusiva in materia di illeciti civili dolosi o colposi, stabilendo che in tal caso una persona domiciliata in uno Stato membro può essere convenuta “davanti all’autorità giurisdizionale del luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto o può avvenire”.

Avv. Corrado Carrubba